domenica 28 agosto 2011

"Se questo è un uomo"....



Non riescono a risparmiare e i loro consumi superano le entrate, sia pur di poco. Oggi nel 38 per cento dei casi vivono al di sotto della soglia di povertà, contro la media italiana che è pari al 12,1 per cento. E' l'identikit delle famiglie di origine straniera che abitano nel nostro Paese, come emerge da un'indagine della fondazione Leone Moressa.
Il reddito annuo di una famiglia straniera ammonta mediamente a 17.400 euro contro i quasi 33mila di una italiana. Novanta famiglie immigrate su 100 hanno un reddito che deriva da lavoro dipendente (contro il 40 per cento di quelle italiane). Solo il 7.7 per cento degli stranieri ha un lavoro autonomo e appena il 6 per cento ha un reddito che deriva da capitale (contro il 21.7 della media italiana). Insomma, il profilo economico e finanziario di chi arriva nel nostro Paese è ancora diversissimo da chi ci è nato. Le famiglie straniere d'altra parte destinano buona parte delle loro entrate alle spese mensili per la casa, visto che il 79,1 per cento vive in affitto, il 9,6 per cento è in uso gratuito e solo l'11,3 per cento ha una casa di proprietà (quasi 72 italiani su 100, invece, possiedono la casa in cui abitano).
I consumi degli stranieri si attestano a 17.700 euro, contro i 24 mila euro delle famiglie italiane. Il livello di risparmio degli immigrati è dunque addirittura negativo (meno 362 euro) e a questo dato contribuiscono le rimesse che vengono destinate ai Paesi d'origine. Per quanto riguarda i consumi, invece, il comportamento degli immigrati
è molto simile a quello degli italiani: la quasi totalità delle spese è destinata a beni non durevoli: 94,9 per cento per le famiglie straniere contro il 93,1 delle italiane. Il resto all'acquisto di beni durevoili: 5,1 per cento per gli immigrati, 6,9 per gli italiani.


E quelle poche famiglie straniere che riescono a risparmiare, cosa fanno dei loro soldi? La quasi totalità li versa su un conto corrente bancario (79,6%), pochissime ricorrono a obbligazioni (1,3%), titoli di stato (0,1%) o altre forme di investimento (1,3%). Le famiglie italiane invece, sebbene l'89,5% lasci comunque depositati parte dei propri soldi sul conto corrente, mostrano maggiore varietà di investimento. Nell'11,6% dei casi possiedono obbligazioni o quote di fondi comuni, nel 9,7% titoli di stato, mentre quasi il 20% investe in altre forme (come azioni, partecipazioni, gestioni patrimoniali e prestiti a cooperative).

Secondo i ricercatori della fondazione Leone Moressa, la struttura del reddito degli immigrati conferma come loro rappresentino l'anello debole del mercato del lavoro. La crisi economica, con la perdita del posto, rischia infatti di privarli dell'unica entrata su cui possono sostanzialmente contare, quella da lavoro dipendente. Oltre a condannarli a perdere il soggiorno nel nostro Paese. Se il trend della disoccupazione non invertirà la rotta, insomma, molti altri finiranno sotto la soglia di povertà.

sabato 27 agosto 2011

Così la manovra cancella

Il vero segnale del declino politico e culturale del Paese è il posto che in questi giorni di teso dibattito sulla manovra occupa il tema occupazione, in particolare occupazione giovanile. Parliamo di tutto, dei tagli selvaggi a Comuni e Regioni, del cosiddetto contributo di solidarietà, se deve essere commisurato ai redditi o ai patrimoni. Si parla e si è parlato di tutto tranne che di lavoro. Il problema numero uno del Paese è la sua ridotta base occupazionale che ci pone all’ultimo posto in Europa.

La dura realtà è che in Italia lavorano solo 56 cittadini tra i 15-64 anni ogni 100, contro una media del 65% in Europa e del 70% nei Paesi del Nord: Germania, Olanda, Danimarca, Svezia e Finlandia. Questo significa che all’Italia mancano quasi tre milioni di posti lavoro per essere un Paese allineato all’Europa. L’ultima indagine di Confartigianato fotografa una situazione nota a tutti tranne che ai soloni che hanno progettato la manovra. Naturalmente all’interno di queste cifre disastrose di cui nessuno del governo si preoccupa c’è il dramma dei giovani: 1 milione e 400mila gli under 35 disoccupati ed ancora peggio va ai ragazzi sino a 24 anni. In questa fascia uno su tre è senza lavoro con un tasso di disoccupazione quasi del 30% contro una media Ue del 20%. Il problema italiano del più basso tasso di occupazione (occupati sulla popolazione 15-64 anni) europeo non è di oggi ma si è ingigantito grazie alle politiche antisviluppo e soprattutto anti occupazione di questo governo.

Perché solo in Italia lo straordinario costa meno dell’orario normale mentre in Francia e Germania costa almeno il 25% in più? Perché la Germania ha tenuto sotto controllo i livelli occupazionali anche negli anni peggiori della crisi - 2008, 2009, 2010 - favorendo orari ridotti mentre in Italia anche gli strumenti esistenti come i contratti di solidarietà sono stati applicati poco e male? Perché nell’ampio e confuso dibattito in corso sulla manovra si parla di tutto tranne che di misure efficaci per rilanciare uno straccio di sviluppo e di occupazione? Assistiamo ad una confusa discussione su eventuali contributi di solidarietà da chiedere a chi più ha ma niente si vede all’orizzonte per eventuali e necessari utilizzi di queste risorse a fini di rilancio dell’occupazione, giovanile e complessiva.

La fantasia si può sbizzarrire: ad esempio una minitassa dell’1% sui grandi patrimoni, tirando in ballo solo quel 10% di famiglie che possiedono il 45% degli 8.400 miliardi di ricchezza privata darebbe più di 10 miliardi che potrebbero andare a defiscalizzare il costo lavoro dei giovani under 35, chiedendo un contributo minimo di 10mila euro a ogni famiglia benestante ma dando un contributo significativo all’occupazione, giovanile e non.

Quando ci si lamenta della difficoltà di imprese anche artigiane di reperire mano d’opera operaia qualificata, si dovrebbe meditare sulla svalutazione sistematica del lavoro operaio, in salari e diritti - come viene fatto anche con questa manovra - senza dimenticare che parliamo di dimensioni diverse tra disoccupati e carenza di offerta di lavoro: i primi sono milioni, i secondi non arrivano a 100mila. Bisognerebbe anche meditare sul doppio mercato del lavoro che ha richiamato 4 milioni di immigrati tra il 2000 ed il 2010. Il mercato del lavoro di bassa manualità è così mal trattato che ad esso rispondono solo gli immigrati, mentre la domanda di lavoro di media ed alta qualità è bassa perché il tasso di innovazione e tecnologico del sistema Italia è basso.

Scuola, cultura, ricerca ed innovazione non sono mai state nell’agenda prioritaria di questo governo, col risultato che sia le produzioni innovative che i posti lavoro qualificati sono carenti ed alimentano un doppio mercato del lavoro: nel biennio 2008-20010 l’occupazione si è ridotta di più di 500mila unità ma l’occupazione italiana si è ridotta di 800mila mentre quella straniera è aumentata di 300mila. È il comportamento classico di un mercato del lavoro stanco e asfittico, dove finisce per funzionare abbastanza bene solo il ricambio di lavori di bassa e media qualifica, quando i vecchi vanno in pensione.

L’Italia non cresce e invecchia male: da anni facciamo quasi la metà di figli dei francesi e nessuna politica pro lavoro, pro giovani e pro famiglia. Se non cogliamo l’occasione della manovra per cercare di ovviare al più grave problema economico e sociale, il basso livello di occupazione complessivo e la condanna al lavoro precario dei giovani, anche ricorrendo a tutte le risorse private che il Paese possiede, significa proprio che non abbiamo capito niente delle forze che muovono il mondo globalizzato: il sapere e l’innovazione che, dovunque nel mondo, sono portati avanti soprattutto dai giovani.


di Nicola Cacace