martedì 26 aprile 2011

“Violati quattro articoli della Costituzione”. De Filippo” Non possiamo accettare che la Basilicata, per l’alluvione dello scorso marzo, sconti la sperimentazione di una norma ingiusta per una posizione ideologica”

La Regione Basilicata ha impugnato davanti alla Corte Costituzionale la così detta “tassa sulle disgrazie”, ossia quella norma introdotta dal Governo col decreto legge 225 del 29 ottobre 2010 (il così detto “mille proroghe”) poi convertito nella legge 10 del 26 febbraio scorso, che prevede che in caso di calamità naturali, prima di poter accedere al fondo nazionale di protezione civile, la Regione che ne è vittima debba far fronte ai relativi costi provvedendo a disporre “aumenti, sino al limite massimo consentito dalla vigente legislazione, dei tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero le maggiorazioni di aliquote attribuite alla regione, nonché ad elevare ulteriormente la misura dell’imposta regionale di cui all’art.17, comma 1 del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n.398 (ossia quello sulle accise per i carburanti), fino ad un massimo di cinque centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita”.

La Regione Basilicata, con l’alluvione dello scorso 1 marzo che ha creato forti danni in particolare nel Metapontino, sarebbe stata la prima regione a dover applicare tale norma, con la conseguenza paradossale non solo di tassare ulteriormente chi aveva subito danni, ma anche che di far pagare i carburanti più che nel resto d’Italia al territorio che maggiormente contribuisce all’approvvigionamento energetico del Paese.

Così la Giunta regionale, nel corso della seduta dello scorso 18 aprile, ha deciso di costituirsi in giudizio innanzi alla Corte Costituzionale per impugnare il provvedimento. Ad avviso dell’esecutivo lucano, la norma del “mille proroghe” sarebbe in contrasto con ben 4 articoli della Costituzione e precisamente gli articoli 1, 3, 118 e 199.

Il ricorso alla Costituzione, firmato da due avvocati della stessa Regione, il dirigente dell’Ufficio Legale, l’avvocato Antonio Pasquale Golia, e l’avvocato Maurizio Roberto Brancati, evidenziano, tra l’altro, come la norma impugnata prevede che l’accesso al Fondo nazionale possa avvenire o quando i mezzi della Regione siano insufficienti o quando ci si trovi di fronte a eventi straordinari di “rilevanza nazionale”, ma osserva come questa seconda ipotesi venga lasciata a un “apprezzamento politico che faccia ritenere l’evento d’importanza tale da meritare un intervento di solidarietà dell’intera comunità nazionale” creando una disparità tra questi eventi, che, con decisione del Governo, sarebbero posti a carico dell’intera collettività nazionale, e quelli che sarebbero lasciati al solo finanziamento delle Regioni. La norma, sostengono inoltre i due legali, vedrebbe “l’autonomia finanziaria delle Regioni lesa dalla costrizione a promuovere l’aumento del gettito tributario pena l’impossibilità di poter avanzare richiesta di accesso al fondo nazionale” e non rispetterebbe il dettato costituzionale con “una disciplina che scarica solo su di una parte istituzionale il peso economico di azioni volte a fronteggiare emergenze naturali assolutamente di forza maggiore e acclarati quali eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari”.

“Quello che abbiamo messo in campo – ha spiegato il presidente della Regione Vito De Filippo – è un atto volto alla tutela della legge e dell’Unità nazionale che non può essere in alcun modo essere letto come atto ostile a qualcosa o a qualcuno e significativo in tal senso è il fatto che procediamo parallelamente sulla stessa strada del ricorso alla Corte Costituzionale con altre Regioni di orientamento politico tra loro differente, come l’Abruzzo e le Marche. Ciò che ci ha spinto a questa decisione – ha aggiunto De Filippo – è per un verso il voler tutelare anche in questo caso un principio di eguaglianza tra i territori e di unitarietà del Paese, e per l’altro la necessità di risarcire i danni che il territorio, gli agricoltori, gli operatori economici e i cittadini della Basilicata hanno subito a seguito dell’alluvione dello scorso marzo. Lo straordinario impegno messo in campo a livello lucano, per il quale ringrazio l’intera giunta a partire dagli assessori alla Protezione Civile Rosa Gentile e all’Agricoltura, Vilma Mazzocco, le ingenti risorse messe subito a disposizione pur nelle ristrettezze del bilancio regionale, l’impegno indistinto dei parlamentari lucani, di tutti gli schieramenti, da soli non bastano a risollevare famiglie e aziende messe letteralmente in ginocchio da quell’evento calamitoso. E non possiamo accettare il rischio che si paghi una posizione ideologica di chi vuole sperimentare la ‘tassa sulle disgrazie’ sulla pelle dei lucani, contro ogni logica e contro anche la ragionevolezza con cui la stessa Regione Basilicata si è proposta di coprire, con fondi propri, la somma che sarebbe possibile recuperare con la maggiore tassazione su quella che è la regione a minor gettito imponibile d’Italia. Il ricorso alla Corte Costituzionale per far valere le proprie Ragioni contro un’altra istituzione dello Stato non è mai una cosa semplice o un motivo di soddisfazione, ma, con senso di responsabilità, abbiamo intrapreso questa strada a tutela degli interessi dei lucani, oggi, e dell’Intero Paese in generale perché non ce ne erano più altre”.

giovedì 14 aprile 2011

Facciamoli vergognare per tutta la vita di Giovanni Maria Bellu | tutti gli articoli dell'autore

Egregio onorevole,

lei ha votato a favore del cosiddetto “processo breve” mentre fuori dall'aula del Parlamento i familiari delle vittime del terremoto de L'Aquila, dell'incidente ferroviario di Viareggio, del rogo della Moby Prince protestavano con rabbia disperata. Queste persone così duramente colpite negli affetti temono che le nuove norme abbiano conseguenze negative sui processi attraverso i quali sperano di ottenere giustizia.

Lei, evidentemente, è sicuro del contrario. Mai, da rappresentante del popolo, avrebbe votato una legge così ignobile. Una norma che offende non solo il senso della giustizia, ma il dolore di tante famiglie. Ha un modo per dimostrarlo. Dichiari pubblicamente che se, a causa delle nuove norme, anche uno solo di quei processi sarà ritardato, danneggiato, mutilato, prescritto, si ritirerà della vita politica e devolverà l'indennità percepita da oggi fino alla fine del suo mandato alle famiglie delle vittime delle stragi.

Inviamo questo messaggio per mail al nostro “preferito”. Per esempio, la mail di Angelino Alfano è alfano_a@camera.it. Ed è questo lo schema di tutte le mail della Camera: cognome, trattino basso, prima lettera del nome e poi chiocciolina e Camera.it

Se avete dubbi digitate su google “mail camera dei deputati” e troverete facilmente la lista.

Facciamoli vergognare per tutta la vita. A partire da subito

mercoledì 6 aprile 2011

Immigrati, se questo è un uomo

Ma quanto vale la vita di un immigrato? Quanto quella di un bambino, di sua madre? Quale è il dolore per duecento, forse duecentocinquanta morti in mare cercando la costa lontano dalla guerra? Assistiamo impotenti a questa orribile contabilità, il canale di Sicilia sta diventando lentamente un mare morto, storie e speranze che si spezzano senza che nessuno faccia nulla. La comunità internazionale balbetta. E l'Italia, questa Italia governata da Bossi e Berlusconi, si arrovella su un accordo con la Tunisia per fermare l'esodo e si divide sull'accoglienza. Risuonano ancora le parole di Bossi: fora da i ball. Oppure: svuotare la vasca, chiudere i rubinetti. E ieri, mentre arrivavano le notizie drammatiche di questo orribile naufragio: il blocco degli arrivi funzionerà, puttana Eva. Il declino dell'occidente sta anche dentro questa involuzione, sta nell'incapacità di aiutare, salvare, accogliere, difendere, sta nella paura e nel terrore su cui costruire una misera campagna elettorale. Dicono le associazioni di volontari: quel naufragio si poteva evitare. Aggiunge qualcun altro: come è possibile che sia accaduto in un mare così militarizzato? Nessuno lo saprà mai. Tanto domani è un altro giorno: ci attende il processo breve. La maggioranza è precettata: bisogna salvare Berlusconi. E quei poveri cristi che muoiano pure, ma per favore lontano da qui. Che pena.



da Giubbe Rosse

il verso della politica

l'Unità del 6 aprile 2011

domenica 3 aprile 2011

Né maschile né femminile rivalutiamo il coraggio








di Nicla Vassallo.


Vacilliamo e individuiamo nel coraggio una prerogativa dittatoriale, conservatore, liberal, a seconda delle nostre appartenenze, di una mutevole lettura delle tesi politiche, di una certa cecità rispetto alla complessità del concetto, nonché alle somiglianze di famiglia (in senso wittgensteniano) tra i tanti atti di coraggio.



Facile da cogliere questa complessità, specie per chi, come la sottoscritta, pur non amando Arthur Schopenhauer, conviene con lui che il coraggio filosofico consista nel sollevare domande: le azioni coraggiose vengono aizzate o paralizzate da valutazioni razionali?; emotività, inconsapevolezza, spontaneità conducono a scardinare le proprie debolezze e difficoltà?; occorre conoscenza dei pericoli che si corrono e dei successi cui si ambisce?; mostrare coraggio sul piano civile, su quello fisico, su quello psichico implica confrontarsi con più tipologie di contrarietà?; il coraggio rappresenta la spiegazione di un gesto, oppure è col gesto che si spiega il coraggio?; l’eterogeneità dei coraggi ammette amour propre, autoaffermazioni, convenienze, stupidità, vanità, ambizioni di celebrazioni, glorie, visibilità?; attribuiamo coraggio a causa dell’empatia, dell’invidia, della soggezione nei confronti del soggetto prode, e lo attribuiamo in egual misura ad azioni, costumi, pensieri?; quali avversità private, oltre che pubbliche, inducono ad azioni coraggiose?; perché il coraggio è tradizionalmente maschile, mentre la pazienza è femminile?; la leggenda vige fino al punto da trasformare il coraggio in un vizio macho e la remissività in uno da femminucce?; la pazienza non si esplica forse in una forma di coraggio, e il coraggio non si rivela al contempo nell’impeto e nell’onestà?



Queste domande generano imbarazzo intellettuale e politico: esitiamo a offrire loro una risposta cogente e definitiva, che non oscilli tra diversi poli, a seconda del preciso contesto in cui ci troviamo e dello specifico gesto che osserviamo.



Nel coraggio non si scorge solo abnegazione, come nell’abnegazione non si scorge solo coraggio, mentre non sempre l’ingiunzione di San Paolo, contra spem in spem crediti, conduce verso l’uno, o verso l’altra, sempre che sia lecito credere in qualcosa privo di speranza.



L’esempio dell’«Eran trecento, eran giovan e forti e sono morti» rimanda a un coraggio per un verso conservatore, per un altro liberal, per un altro ancora anarchico - dipende dalle interpretazioni del Risorgimento, della spedizione di Carlo Pisacane, dei rapporti tra nord e sud, delle afflizioni di chi conquista e di chi è conquistato, di chi libera e di chi è liberato, dei valori. Valori che non sono scomparsi dalla nostra attuale società, come non sono scomparse le avversità cui reagire, sebbene l’immaginario collettivo consideri il coraggio virtù vetusta, addirittura sovversiva: la sfera privata e pubblica ci pongono alla prova ogni giorno, costringendoci a cercare la verità, a conoscere, a riflettere su correttezze e scorrettezze, a impiegare la ragione, a costo di subire ostracismi.
Se è giusto affermare che con coraggio si supera la paura, ogni epoca, la nostra inclusa, è attraversata dalla paura di avere coraggio, un coraggio che non si pone l’obiettivo di venir premiato dalle telecamere, un coraggio che nasce da umanità e umiltà, che si concretizza in impegni civici, sociali, e il cui indennizzo rimane nella propria coscienza, intelligenza, sensibilità.
In una famosa definizione di Ernest Hemingway, il coraggio è «grace under pressure».

venerdì 1 aprile 2011

La Russa “espulso da tutte le scuole del Regno”

da L'Unità del 1 aprile 2011
di Mila Spicola



1. Considerate se questo è uno studente modello: quello che alza la voce in malo modo, urla, strepita e schiamazza in Aula;
2. Quello che, rimproverato per il contegno non adatto, si scusa con un “non sono solo io!”, ma in realtà i toni, il linguaggio, la prepotenza, l’arroganza con cui si è distinto lo rendono, più che raro, unico.
3. Quello che manda a quel paese un’insegnante (!!!!!) dopo averle urlato “non mi rompere!!”
4. Considerate se è possibile mai che questo stesso allievo, dopo aver fatto questo e quell’altro, durante la ricreazione, come se niente fosse accaduto, scherzi, mangi, rida in assoluta tranquillità;
5. Considerate cosa penserebbero gli altri compagni se il ragazzo non fosse subito bloccato nelle azioni e nelle parole, se non venisse ripreso in modo severo dall’insegnante, se questi fatti non venissero all’istante riferiti ai genitori, al Preside e al Consiglio di classe per avere adeguata punizione;
6. Considerate se il giorno dopo proprio quel ragazzo potesse tranquillamente e impunemente andare in giro per i corridoi della scuola, seguire le lezioni, fare finta di nulla, minimizzare, quando invece i regolamenti scolastici di tutta Italia, in casi simili, prevedono la sospensione dalle lezioni, l’allontanamento, un’adeguata punizione e pubbliche scuse.


Considerate che l’aula è l’Aula dei Deputati della Repubblica Italiana.
Considerate che il ragazzo in questione è un ministro della stessa Repubblica Italiana alla quale ha giurato di servire con onore e civiltà.

Considerate che non si tratta della scuola di un quartiere difficile, non si tratta di un contesto degradato per fatalità, povertà, ignoranza. Si tratta di un contesto ormai degradato per follia di prepotenza e questa cosa non la possiamo tollerare. Considerate che sono rimasta egualmente esterrefatta, se non di più, di fronte al “mò glie meno” di D’Alema versus Bindi.

Considerate che già stamani Federico in classe mi ha apostrofato con un bel “perché loro sì e io no, professoressa?
Considerate che c’è voluto il mio sguardo più duro e fermo per fargli capire che forse “quel” ministro può e sbaglia, ma lui, un alunno della scuola pubblica statale italiana no, non può: verrebbe espulso da tutte le scuole. Considerate che forse Berlusconi aveva ragione quando diceva che nella scuola inculchiamo valori diversi: sicuramente diversi da quelli condotti dai suoi ministri. Alcuni dei quali indagati, altri condannati un giorno sì e un giorno no dal TAR, accusati di discriminazione di disabile, com’è il caso della Gelmini e peggio ancora…

Considerate comunque che se il ministro la passa liscia il mio sguardo, per quanto duro, a ben poco comincerà a servire, di questo passo.

La Basentana...

I lavori per la superstrada S.S. 407 Basentana, che parte dallo svincolo autostradale di Sicignano degli Alburni e si congiunge a Metaponto, allo svincolo della SS 106 Jonica, iniziarono negli anni ’60 con i fondi della Cassa del Mezzogiorno che poteva contare su un programma decennale di investimenti per oltre 1200 miliardi di lire. Investimenti da destinare a opere di bonifica, alla costruzione di acquedotti, di impianti elettro irrigui, di strade e ferrovie e alle diverse infrastrutture che erano la premessa per un successivo sviluppo industriale. Anche se sembrano cifre enormi, questi dovevano essere investimenti straordinari destinati ad opere di supporto e sviluppo i quali però si sostituirono, in buona parte, ai fondi per interventi a carattere ordinario di fondamentali infrastrutture come l’autostrada Napoli-Pompei, la superstrada da Latina alla costa o la già citata Basentana. Una strada, la Basentana, pensata e creata per essere arteria di fondamentale importanza per il polo industriale della Val Basento.
Ma la storia della Basentana è sempre stata particolarmente accidentata. Dagli archivi delle Camere del Parlamento Italiano risultano diversi interventi sulla questione, a partire dagli anni ’60 fino agli ultimi recenti interventi in seguito ai danni dell’alluvione del marzo 2011. Riporto un intervento del 25 giugno del 1965. Il senatore Ignazio Petrone di Pignola, per tre legislature( IV, V, VI) dal 1963 al 1976, eletto al Senato della Repubblica nel Partito Comunista, in una discussione sul disegno di legge: «disciplina degli interventi per lo sviluppo del Mezzogiorno» dichiarava: ” …vorrei richiamare la particolare attenzione del Senato perchè qui siamo di fronte ad una legge che dovrebbe operare in direzione dei poli di sviluppo. Io, per esempio, appartengo ad una regione dove i poli di sviluppo non esistono, dove ci sono un paio di nuclei industriali che non si sviluppano nei tempi previsti di realizzazione, dove tutto rimane rachitico, dove dal 1958 non si riesce neppure ad avere l'attuazione della, strada Basentana. La mia è l'unica regione che non è toccata da un'autostrada. La Basentana è stata progettata ed appaltata dal 1958 per il tratto Potenza Metaponto, ma siamo arrivati al 1965 e non è ancora dato prevederne la fine nonostante il ventilato sviluppo industriale che si dovrebbe avere nella Valle del Basento e a Ferrandina, sviluppo per il quale si sono lanciate addirittura delle sfide internazionali, allorchè il ministro Fanfani disse in una certa occasione in sfida a Kruscev: venga qui a vedere come le zone più arretrate possono svilupparsi e trasformarsi rapidamente in zone moderne, progredite e come rapidamente cambiano le condizioni di vita. Dal 1958 però neppure questa strada Potenza-Metaponto si riesce a completare,ed assolutamente nulla è dato sapere per il trattoPotenza-Eboli. Siamo tagliati dal resto d'Italia da una catena di monti. Si riconobbe sin dal 1958 l'assoluta necessità della costruzione di una super strada Potenza Eboli e l'opera doveva essere esegu ta dalla Cassa per il Mezzogiorno. Poi la competenza passò al Ministero dei lavori pubblici che per il finanziamento stanziò 14miliardi; si dette all'ingegner Tocchetti !'incarico di approntare la progettazione di massima, ma poi i 14 miliardi sparirono, portati nell'avellinese da un altro Ministro, sembra in barba al nostro Ministro, e sta di fatto che questa strada finora non si è fatta. Dal 1958 in ogni occasione elettorale si parla sempre di strade che dovrebbero trasformare la nostra regione in una California, grazie alla rapidità e alla modernità dei traffici. Ma le parole restano solo parole, e fatti non se ne vedono…
…Noi non possiamo accettare il criterio che proprio a queste regioni abbandonate, che vengono sempre messe in seconda linea quando si tratta di fare programmi stradali e interventi industriali…Certo da noi è arrivato qualcuno, è arrivato il conte Rivetti a Maratea; ci sarebbe un discorso da fare su questo conte Rivetti, che è riuscito a creare un suo impero personale senza che nulla sia cambiato nelle condizioni della Basilicata.“

di Giuseppe Melillo

da controsenso del mercoledi 30 marzo